25 aprile 2007

Il vino di Toppi - Storia dell’intervista diventata una festa

Trento, gennaio 2002
Manca una settimana alla premiazione del concorso "Strisce d’inchiostro", quando mi telefona Andrea, l’organizzatore della competizione, che mi domanda: "Visto che Sergio Toppi viene a fare il giurato al concorso, vuoi intervistarlo per AnomaliE?" Rispondo di sì, perché per la rivista sarebbe fantastico, ma effettivamente conosco poco del disegnatore. Da piccolo leggevo i suoi fumetti, ma poi l’ho perso di vista. Setaccio Internet alla ricerca di qualche informazione, e ne trovo parecchie. Sergio Toppi ha settant’anni, è un famosissimo fumettista e illustratore, ha ricevuto premi e riconoscimenti in Italia e all’estero, il suo stile basato anche sulla rottura degli schemi delle vignette tradizionali ha fatto storia, ha lavorato e collaborato con molte riviste importanti… questo e molto altro.
Andrea mi rassicura: "Ti telefono io quando fissiamo l’intervista", ma io sono nervoso, e lo chiamo ogni sera. Il venerdì, stremato, Andrea mi dice: "Vieni domani a mezzogiorno a Palazzo Geremia, per quell’ora dovremmo aver finito di valutare i lavori." L’indomani alle 11.45 sono davanti al portone dell’edificio rinascimentale. I giurati sono all’interno che fanno le ultime considerazioni sui fumetti del concorso, e Andrea mi fa entrare. Lui ha già conosciuto Sergio Toppi, e mi dice che è simpatico. Il fumettista ha dato ad Andrea delle bottiglie di vino da tenere in fresco per la cena di stasera. Dell’intervista non gli è stato ancora accennato. Quando glielo chiediamo, lui è gentile e disponibilissimo; ci sediamo in disparte vicino ad un tavolino, e l’intervista inizia. Le mie domande sono istituzionali, non molto brillanti.

Come ha fatto conoscenza con il mondo dei fumetti?
Da bambino una volta ho trovato su di una bancarella una rivista con dei disegni di Pratt e di Battaglia, e mi hanno molto colpito. Allora non pensavo di fare il disegnatore o i fumetti, ma mi avevano colpito quei disegni. Rimasi colpito perché il fumetto allora era molto differente da quello di adesso. Sono stati due grandi disegnatori. Mi aveva colpito inoltre quando facevano degli episodi storici o militari, e allora ho cominciato a farli anch’io.
Poi come ho iniziato io a fare fumetti è stato nella maniera direi più banale: mi hanno chiesto di farli, ho cominciato e sono andato avanti. Non c’è nessuna storia particolare dietro a questo. Disegnavo da giovane, facevo altre cose e mi hanno offerto di cimentarmi nei fumetti. Ho provato, con fatica, e l’ho fatto.

Nella sua lunga carriera ha disegnato molte illustrazioni e fumetti storici, bellici o biblici. Come mai?
Nella definizione di "fumetti storici" entra un sacco di temi. Quindi, siccome poi io non ho mai provato molto a fare personaggi, mi è sempre piaciuto spaziare. Spesso nella Storia si trovano degli spunti molto buoni per fare dei fumetti. I fumetti biblici… me l’hanno chiesto e li ho fatti.

Come è nata e come è stata accolta la sua idea innovativa di rompere gli schemi della suddivisione della pagina sperimentando soluzioni differenti, nel mondo dei fumetti degli anni ’70?
Mi sono guardato attorno e ho visto tante cose che m’interessavano. Mi è sempre piaciuto uscire dallo schema della pagina a quadrettini, e questo ha determinato certe scelte di gusto della pagina, e di fare delle collocazioni nella pagina differenti da quelle tradizionali. È una mia necessità e preferenza. Devo dire onestamente che questo in certi casi è stato accolto bene dall’editore, in altri no; dipendeva anche dalla sua esigenza. Ci sono degli editori che per loro ragioni editoriali sono molto legati all’impostazione tradizionale. Ne ho trovati invece altri che mi hanno permesso di fare quello che volevo.

Periodicamente si alternano voci sulla morte del fumetto italiano e sulla sua rinascita. Lei cosa ne pensa?
Periodicamente ci sono delle oscillazioni. Ci sono stati dei momenti in cui indubbiamente il fumetto marciava di più. Adesso è un periodo in cui non è che marci meno ma si sono un po’ ridotte le possibilità, specialmente per uno che inizi la carriera, di trovare degli spazi in cui lavorare. Ci sono degli spazi ben definiti che sono importanti; però al di fuori di quelli, rispetto agli anni precedenti, ci sono meno possibilità. "Vita" e "morte" sono dei termini molto gravi, ci sono dei momenti buoni e altri meno felici. Io penso che il fumetto dovrebbe continuare; c’è la concorrenza dei mezzi di comunicazione moderni, il video e tutte queste cose che indubbiamente sottraggono un po’ di spazio a chi legge fumetti. Io spero che ci sia sempre qualcuno che legga fumetti.

Quanto sono importanti le regole nella realizzazione di un fumetto?
Il lavoro di chi disegna è un lavoro di commissione, salvo qualche raro caso in cui uno lo fa per sé. Quasi tutti noi lavoriamo per un editore che ci commissiona dei lavori. Quindi le regole sono quelle che in un certo senso l’editore ti richiede. Come dicevo prima, se c’è un editore che dice "Io voglio un’impostazione tradizionale nel fumetto, perché io lo vendo così e mi va bene così" si sta alle regole. Se uno invece ti dice "Fai quello che vuoi", allora magari uno che vuol fare di testa sua riesce a fare certe cose. Tutto qua.

Come nasce lo stile di Sergio Toppi?
Non lo so. Non saprei dare una spiegazione, se non che ho lavorato per trovare una forma espressiva che fosse personale. Ci sono delle domande cui è difficile dare una risposta.

Cosa consiglia ai giovani che vogliono diventare fumettisti?
Che si guardino in giro, guardino cosa fanno gli autori che a loro piacciono; non li rifacciano, perché per fare il disegnatore di fumetti la cosa importante è trovare il proprio stile, di modo che uno veda un disegno e dica "Questo disegno è di…" e non è facile: ci vogliono anni di studi. Poi raccomanderei una cosa: di studiare, perché una certa preparazione – diciamo pure una parola abusata: "culturale" – è molto importante, specialmente per chi voglia fare i fumetti, perché è un’attività che comporta anche sapere abbastanza cose. Quindi, non lasciarsi prendere dalla smania di disegnare: piuttosto fare degli studi più possibilmente seri, e parallelamente coltivare questa passione. Se poi si vede che le cose vanno, si ha coraggio anche di affrontare le prime difficoltà e la cosa ingrana, allora si può andare avanti. Però una buona base culturale direi che è molto importante.

Prova lo stesso entusiasmo di un tempo nel realizzare fumetti e illustrazioni?
Qualche volta. Anche il nostro lavoro non è che sia sempre gratificante al massimo. In genere lo facciamo perché ci piace, però non sempre abbiamo le occasioni per fare proprio quello che vogliamo, nella maniera che piace a noi, o un soggetto che ci sia particolarmente congeniale. Quando questo avviene lo si fa molto volentieri.

Nella sua carriera ha realizzato tanti fumetti e ricevuto molti premi. Ma qual è il ricordo a cui è più legato?
Forse è stato il primo premio che ho preso tanti anni fa a Lucca [nota: lo Yellow Kid quale miglior disegnatore italiano nel 1975]. Come la prima volta di molte cose, è stato quello che ricordo in maniera particolare; tutti gli altri con piacere, ma quello in maniera particolare. Anche perché allora non c’erano tantissimi premi come adesso, quindi era una cosa indubbiamente gratificante.

Tra tutti i personaggi che ha disegnato, quali sono quelli a cui è più legato?
Ho disegnato molti fumetti con molti personaggi, ma non nel senso comune, che si ripetevano. L’unico vero personaggio che ho fatto si chiamava "Il collezionista" e mi piaceva.

Qual è il suo fumetto preferito, anche non suo?
In assoluto non ce n’è uno, ce ne sono tanti che mi piacciono, quelli di tutti gli autori di cui io ho grossa stima. Adesso non sto a fare l’elenco, ma i miei preferiti sono quelli di tutti gli autori che ritengo bravissimi e che mi piacciono molto.

Quante vignette avrà disegnato?
Tante, proprio tante. Messe in fila penso che farebbero un buon chilometraggio, nell’ordine di decine e decine di chilometri.

A che cosa si ispira quando crea una storia?
A tante cose. Potrebbe essere una notizia che ho letto, un fatto di cronaca, una frase storica che mi interessa particolarmente, o anche delle idee che possono venire così, magari andando in automobile o in tram, o guardando un oggetto. Una volta ho fatto una storia, che poi era molto più complicata, perché un giorno ho visto una di quelle macchine presso i demolitori, quella specie di enormi artiglioni che prendono le automobili. Mi piaceva questa macchina così cattiva, e ci ho ricamato sopra una storia. Quindi qualsiasi motivo, viaggio, incontro o altro può dare lo spunto per fare una storia.

Lei scrive e disegna fumetti, crea illustrazioni, è famoso in Italia e all’estero, e ha lavorato per riviste e giornali famosi quali Il Corriere dei Piccoli, Il Giornalino, Corto Maltese, Il Corriere della Sera, Linus, Famiglia Cristiana, Il Messaggero, Il Manifesto e molti altri. Che cosa riserva il futuro a Sergio Toppi?
Non lo so. Non sono più un ragazzino, quindi la fine della strada è quella che spetta a tutti. Spero di fare ancora qualche buon disegno, e poi si vedrà.

Toppi mi stringe la mano cordialmente e mi saluta; io mi scuso per il disturbo arrecatogli. Andrea aveva ragione, Toppi è simpatico. A proposito: Andrea dove s’è cacciato? Boh, oggi è completamente fuso. È da mesi che prepara il concorso, ed è una settimana che vi lavora giorno e notte. È talmente in confusione che si dimentica di presentarmi la sua ragazza, Barbara, che lo ha aiutato durante gli ultimi giorni.
Sebbene estraneo alla giuria, vengo invitato a pranzo con loro. Inizialmente rifiuto per non disturbare, ma poi accetto alle loro insistenze. Faccio bene ad acconsentire: non capita tutti i giorni di pranzare con un "mostro sacro" del fumetto italiano.
Al ristorante, Toppi è il centro della nostra attenzione. Parliamo con lui, ma è il fumettista che introduce gli argomenti e che tiene banco. L’argomento principale sono i fumetti e, nonostante nell’intervista mi abbia detto di non essere un appassionato lettore, Toppi fa un lungo elenco di nomi e titoli che non ho mai sentito, di fronte ai quali posso solo annuire. Poi l’argomento si sposta sul cinema, e il fumettista confessa di riguardare spesso Terminator 2 in videocassetta, e che la sua scena preferita è quella in cui il T1000 si ricompone dalle gocce di metallo. Stupendo, non me lo aspettavo proprio. Tra le altre cose, forse riflettendo solo ora sul trovarsi nella città che ha dato origine al movimento studentesco del ’68, Toppi ci domanda cosa ne pensiamo noi giovani che non lo abbiamo vissuto. Mi fa piacere scoprire un Toppi impegnato, colto e al passo coi tempi. Solo alla domanda "Che musica ascolta?" la sua risposta "Mi sono fermato a Mozart, ma il primo Mozart." sembra invecchiarlo un po’. Lasciando il ristorante ci diamo appuntamento alle cinque, alla premiazione del concorso.

Arrivo a casa e scopro un problema che mi terrà occupato tutto il pomeriggio; quando mi libero sono le sei. Ormai ho perso la premiazione e l’inaugurazione della mostra dei lavori partecipanti al concorso, ma sono in tempo per quella di Toppi, che è allestita presso lo Studio d’Arte Andromeda. Arrivo alla mostra in tempo per veder giungere Toppi assieme all’amico e collega Gino Gavioli, che lo ha accompagnato fino a Trento, e alle rispettive signore. Anche di Gavioli ho un qualche ricordo risalente alle letture che facevo da bambino; ho quindi un appiglio per cominciare a parlare con i due fumettisti e regalargli una copia di AnomaliE. Per me è incredibile conoscere in una volta sola due persone così importanti e che seguivo molto. La mostra è splendida, e una folla veramente notevole osserva le opere del grande fumettista.
Faccio per andarmene quando vengo invitato a rimanere alla festa con cena che si terrà in quelle sale di lì a poco. Questa sera c’è un motivo in più per festeggiare: "la" Toti dell’Andromeda compie gli anni. Attorno al grande tavolo ci troviamo io, Andrea, Barbara, i due fumettisti, "la" Toti, quelli dell’Andromeda e un sacco di gente che non conosco. Ma non sono l’unico ad avere questo problema: mi si avvicina una signora sconosciuta che mi chiede di presentarle gli invitati. Quando le spiego che, a parte le "celebrità", ignoro anch’io chi siano gli altri, lei mi domanda: "Ma tu, chi sei?" Andrea invece mi espone un problema più serio: "Ho dimenticato di portare il vino di Toppi!" "Forse se non glielo dici non ci pensa nemmeno." "E se me lo domanda?" "Gli diciamo che lo abbiamo bevuto!"
Andrea chiama il suo amico Angelo, che suona la chitarra, e quando arriva i due si mettono a cantare e suonare canzoni in Napoletano. Sono inaspettatamente bravi, e il pubblico presente li applaude. Toppi è entusiasta, nonostante non si tratti certo di "Mozart prima maniera". Andrea sfoga la tensione accumulata in una settimana cantando con un’energia che travolge tutti. Preso dall’entusiasmo nel vedere i due fumettisti applaudire, e sapendo che hanno entrambi cominciato disegnando Carosello, Andrea intona El merendero, sbagliando clamorosamente: non era disegnato da loro! La situazione è surreale: un gruppo di persone provenienti da diverse parti d’Italia, tra cui due anziani iperfamosi fumettisti, applaudono entusiasti due ragazzi che cantano in Napoletano, a Trento. Forse sono l’unico "Trentinazzo" presente in sala, e non capisco una parola di quello che viene cantato. Ma l’allegria è alle stelle, e tutti si divertono.

Questa è la storia di un’intervista che si è trasformata in una festa. Questa è la storia di un articolo che si è trasformato in una pagina di diario. Che ho scritto sorseggiando il vino di Toppi.

Gabriele Tomasi


Sergio Toppi nasce nel 1932 a Milano. Inizia a lavorare presso gli studi di animazione Pagot disegnando caroselli. Successivamente illustra diversi libri, disegna e scrive storie a fumetti, realizza copertine e illustrazioni per Il Corriere dei Piccoli, Il Giornalino, Corto Maltese, Il Corriere della Sera, Linus, Famiglia Cristiana, Il Messaggero, Il Manifesto e tante altre riviste. Ha ricevuto molti premi e riconoscimenti in tutto il mondo.

Gino Gavioli nasce nel 1923 a Milano. Fonda assieme al fratello Roberto e a Nino Piffarerio la Gamma Film, il più grande studio d’animazione d’Europa negli anni ’60 e ’70. Realizza centinaia di caroselli e collabora con Il Corriere dei Piccoli, Il Giornalino e Il Monello. Per questo e per i molti libri pubblicati, ottiene premi e riconoscimenti in Italia e all’estero.

Andrea Locatelli non è famoso, ma ve lo devo presentare affinché capiate la storia. Le sue radici affondano in diverse regioni d’Italia. Attualmente vive a Trento, dove è il responsabile della Fumettoteca Mad. Cofondatore di AnomaliE, organizza ed è giurato del concorso per giovani fumettisti "Strisce d’inchiostro", da lui inventato.

Lo Studio d’Arte Andromeda è un’associazione artistico-culturale di Trento la cui attività è rivolta alla ricerca e alla divulgazione di forme espressive quali il fumetto, la satira, l’umorismo e la grafica. Ogni anno ospita nelle proprie sale le opere del concorso "Strisce d’inchiostro".

Nella foto, la giuria del concorso: Giancarlo Alessandrini, Sergio Toppi, Andrea Pagnin, Umberto Rigotti, Andrea Locatelli e Sergio Filosi

03 aprile 2007

Le sigle dei cartoni animati - Ovvero: perché non ci liberiamo di Cristina D’Avena?

History repeating  
I mitici anni ’70. L’epoca d’oro delle sigle musicali dei cartoni animati per l’Italia comincia negli anni ’70, con l’invasione del nostro Paese da parte degli anime fantascientifici giapponesi. Prima di questi, infatti, le sigle si limitavano a un breve motivetto senza cantato, come quelle che introducevano i cartoon della Walt Disney o della Warner Bros. Gli elementi innovativi delle sigle degli anni ’70 sono la lunghezza (passata da poche decine di secondi a qualche minuto), la ricchezza della musica (mantenuta identica a quella originale o rifatta) e il testo firmato da grandi autori (ad esempio Vince Tempera, coautore di Capitan Harlock, Goldrake e tante altre). Queste portano anche ad una modifica culturale del concetto stesso: la sigla infatti non è più un momento in cui si cerca di tenere buono il pubblico con una musichetta mentre scorrono i noiosi titoli, ma diventa una canzone vera e propria degna di essere cantata per strada o con gli amici (chi non ha mai cantato almeno un pezzo di Ufo robot?) e persino di entrare in classifica.

I rampanti anni ’80. A cavallo tra i ’70 e gli ’80 entrano nella cultura animata italiana nuovi personaggi, come le "protoeroine" (ad esempio Candy Candy, lontana anni luce dalle moderne Sailor Moon), ma anche personaggi più comici e infantili (Doraemon) o seri e complessati (Remi). Per fortuna invece non cambia il modo di realizzare o adattare le sigle all’italiana: ancora grandi autori (lo stesso Vince Tempera è autore di Remi – Le sue avventure e di Anna dai capelli rossi), lunghezza e musica da classifica, sebbene in tono leggermente minore. Ma è verso la metà degli anni’80 che arriva una coppia destinata a rovinare per sempre la vita degli appassionati di sigle: Alessandra Valeri Manera – autrice – e Cristina D’Avena – cantante. Per qualche oscura ragione la Fininvest (e poi Mediaset) da quel momento in poi affida tutte le sigle (tranne alcune interpretate dal Piccolo Coro dell’Antoniano – ad esempio Piccolo principe) a queste due che ci devastano le orecchie, la prima scrivendo i testi e la seconda cantandoli con la stessa voce con cui nel 1968, all’età di tre anni, portò Il valzer del moscerino allo Zecchino d’oro. Non si spiega come questo sodalizio tra le due e le reti di Berlusconi possa continuare addirittura da una quindicina d’anni. Ma fin che la coppia si accanisce solo sulle sigle dei cartoni animati nuovi (considerando come "nuovo" tutto quello che si è visto in TV da I Puffi in poi) e infantili, la cosa è ancora accettabile. Il vero dramma comincia…

…Negli anni ’90, quando alla voce di Cristina D’Avena viene affidato praticamente tutto il palinsesto animato Mediaset, compresi i cartoni seri come ad esempio l’ultimo Batman – che restituisce al personaggio la tristezza e la cupezza delle prime serie a fumetti – rovinata però dalla voce della D’Avena. Sciagura delle sciagure è stata, verso la metà dei ’90, l’idea di rinnovare le sigle dei cartoni animati storici (forse ritenute obsolete) e di farle cantare alla D’Avena. È ad esempio drammatico il caso delle sigle di Lady Oscar e Candy Candy, ma anche la sigla di Lupin III è stata ignominiosamente sostituita da una nuova. Si salvano da questa carneficina solo i cartoni trasmessi dalla RAI e da LA7 (che però sono rari), dalle reti locali (che tuttavia risultano preistorici e in pessimo stato di conservazione) e quelli di MTV che vengono trasmessi con le sigle originali: finalmente qualcuno che dà ai cartoni la dignità di un film.

Ma chi le canta ‘ste sigle?
In genere le sigle vengono affidate dai proprietari dei diritti di un cartone animato ad una casa discografica, la quale raduna musicisti e cantanti, li etichetta con un nome stupido – ad esempio "I ragazzi di Remi" per Remi, "Gli amici di Lupin" per la nuova sigla di Lupin III, "I ragazzi dai capelli rossi" per Anna dai capelli rossi, i "Rocking Horse" per Candy Candy, o gli "Oliver Onions" per il Galaxy Express 999 ma anche per il telefilm Sandokan.
A volte invece una sigla viene affidata ad un singolo cantante che così lascia il suo nome nella storia; è il caso di Elisabetta Viviani con Heidi, di Katia Svizzero con L’Apemaia, ma anche di Michel Tadini, che cantava Goldrake nascosto sotto lo pseudonimo fantascientifico di "Actarus".
Quanto scritto sopra ovviamente vale tranne nel caso in cui la sigla venga affidata da Mediaset alla propria casa discografica, la quale sceglie, non serve nemmeno dirlo, Cristina D’Avena.
Meritano un plauso i gruppi come "Gli amici di Roland" e i "Cialtroni animati" che hanno fatto delle sigle dei cartoni il loro cavallo di battaglia, anche riarrangiandole in versioni più moderne e ritmiche, e che ci consentono di ascoltare dal vivo o da CD le sigle nella versione intera e non in quella tagliata trasmessa in televisione.
Due curiosità: Fabio Concato cantava nel coro di Ufo Robot, mentre è solo una leggenda metropolitana che vuole fosse stato Piero Pelù a incidere quella di Jeeg robot d’acciaio, leggenda nata forse solo dal fatto che questa è cantata con molto "eeentusiasmooo!"

Profumo di vinile e B-side
Parlando di vecchie sigle non possono non venire in mente i 45 giri che da bambini ascoltavamo con il mangiadischi (chi ne ha più uno funzionante in casa?!) L’emozione era data tanto dall’ascoltare le canzoni quanto dal tenere in mano e guardare i dischi in vinile, dotati di un profumo più affettivo che reale, e le loro copertine.
Vera chicca riservata solo ai collezionisti di microsolchi (ma già allora questo termine suonava un po’ obsoleto) erano i B-side, contenenti una canzone a tema, bella come il lato A, che però non veniva trasmessa nella serie. Vi sono ad esempio dischi così composti: Capitan HarlockI corsari delle stelle, Goldrake – Vega, L’Apemaia – Flip, ma anche versioni strumentali abbinate a quelle cantate o accoppiate musicali più allucinanti e improponibili quali Il grande Mazinger – Io son contadinella (giuro!) Il piacere del B-side è totalmente scomparso con l’avvento delle compilation del tipo Fivelandia (dal 1983) o Cristina D’Avena e i tuoi amici in TV (ancora lei!) (dal 1986), e dei CD.
Meritano inoltre una citazione i 45 giri contenenti l’audio di una puntata di una serie con tanto di sigle, canzoni inedite e libretto (vi erano, ad esempio, quelli di Candy Candy).
Ora tali "reperti archeologici" sono purtroppo scomparsi dal mercato ed è possibile trovarli, ma solo se siete fortunati, presso i mercatini delle pulci, tra una bambola di Heidi e un Goldrake di latta.

Capisci d’internèt tu?
La grande rete ha reso possibile un sogno: avere a disposizione quasi tutte le sigle dei cartoni animati. Infatti ogni cartone, vecchio o nuovo, ha il suo sito gestito dai numerosi fans e da molti di questi è possibile scaricare le sigle, anche le più vecchie e le originali. Le si possono così confrontare con le versioni italiane o con quelle attuali, ad esempio per scoprire se nell’adattarle alla cultura del nostro Paese sia stata rifatta solo la parte cantata o anche la musica.
Considerando uno o più siti per cartone, l’elenco degli indirizzi in questione è infinito: quindi non ne suggerisco nessuno di specifico ma invito tutti a cercare quelli del cartone preferito, ovviamente dopo aver consultato la rubrica On the ueb.

Appello finale
Se proprio non riuscite a liberarci da Cristina D’Avena, perlomeno provate a tappare la bocca a quel tizio che parla sopra alle sigle di Italia 1!