23 aprile 2006

Autobus



Ero su di un autobus che percorreva le vie cittadine, seduto in fondo al mezzo e rivolto in senso contrario a quello di marcia. Di fronte a me si trovava un uomo, anche lui seduto, e la posizione dei due sedili era tale da obbligare i nostri sguardi ad essere puntati sugli occhi dell’altro.
L’uomo indossava vestiti dismessi e aveva l’aria di chi ha lavorato abbastanza nella vita, per conoscerla a fondo. I suoi occhi erano piccoli e neri come gli unti capelli che gli cadevano sulla fronte. Il suo volto di contadino sui sessant’anni trasudava soprattutto un’impressione che definirei serietà.
Un elemento era però in contrasto con tutto ciò: il brick di succo alla frutta che stava succhiando. Una scatoletta di cartone colorata, stretta tra le sue grosse mani, dalla quale attraverso la cannuccia un succo alla pesca veniva bevuto con una curiosa quanto da me inattesa avidità. Trovai strana questa unione di due mondi così distanti.

L’autobus su cui ero seduto collegava la città alla periferia. Stavamo percorrendo una strada statale, circondata da campagne e capannoni industriali, quando il mezzo cominciò a rallentare e si arrestò in corrispondenza di una fermata.
Avevo scorto tre figure che attendevano l’arrivo dell’autobus, mentre questo stava rallentando, ma solo ora che salivano sul mezzo, dalla porta a fianco a me, potevo ed ero spinto ad osservarli. La prima figura a colpirmi fu quella che anticipò le altre salendo sull’autobus, quella di un cane lupo a cui mancava la zampa anteriore sinistra. Mi sembrava così strano che quel cane si comportasse e si muovesse senza problemi, con la stessa andatura di un qualsiasi cane, al punto che cercai a lungo con lo sguardo la zampa mancante. Non so come mai, ma mi stupì anche il fatto che avesse la stessa espressione di un cane qualunque, sebbene, attraverso la museruola, il suo muso rivelasse tristezza. Non potei fare a meno di collegare questa tristezza dell’animale alla mancanza della zampa.
Il mezzo ripartì. Il cane si sedette davanti ad un posto a sedere vuoto, a forse mezzo metro da me. Con lui era salito il suo padrone, il quale lo accarezzò dolcemente sulle scapole e il bravo animale si sdraiò, appoggiando il muso sull’unica zampa anteriore. L’uomo si voltò verso la terza figura salita con loro, il figlioletto che avrà avuto cinque anni, e gli disse: “Stai qui con Buck, io vado a parlare con l’autista.”
Il bambino avanzò fino ad afferrare un paletto, vi si tirò vicino e muovendo i suoi piccoli piedi in piccoli passi, cercando di non pestare le zampe o la coda del cane, si sedette nel posto più vicino all’animale. Ora che lo avevo di fronte, potevo osservare anche il bambino. Aveva lo stesso volto ed espressione di tutti i bambini. Mi venne da pensare che ora non trovasse strano quel suo cane, data la giovane età, ma forse fra qualche anno avrebbe pensato, sentendolo insolito “Ho avuto un cane senza una zampa”.
Alzai lo sguardo verso suo padre che parlava con l’autista del mezzo. Parlarono abbastanza a lungo per quello che reputavo si potessero dire, e ogni tanto mi giungeva qualche parola del loro discorso. Dopo un po’ l’uomo si voltò con un’espressione dispiaciuta e avanzò verso il bambino e il cane, che lo stavano aspettando con impazienza.
Venendo l’uomo anche nella mia direzione, potei così notare che doveva avere circa trentacinque anni, era magro, scarno, capelli e un paio di baffi scuri. Aveva la pelle leggermente olivastra, gli abiti e l’aspetto trasandati. Indossava un paio di pantaloni marroni e una camicia beige con sopra un gilet pure marrone.
L’uomo disse al bambino: “L’autista ha detto che dobbiamo scendere, non possiamo star qui.” Solo allora notai che l’uomo aveva sulla fronte, in mezzo agli occhi, un puntino blu: la tikka, il più tipico segno di appartenenza all’induismo. L’autista arrestò il mezzo alla successiva fermata, aprì le porte e la “famigliola” si ritrovò lungo il bordo di una strada statale. L’uomo disse: “L’avevo detto che ce la saremmo fatta a piedi.”, il bambino si lamentò e il padre gli rispose: “Dai, non siamo mica su di un’autostrada.”

Mi trovavo su di un autobus che attraversava la città, ed ero in fondo al mezzo e in piedi. A poche decine di centimetri da me si trovava lui, anch’egli in piedi, ed eravamo uno di fronte all’altro.
L’autobus era talmente affollato a quell’ora, che potevamo stare in una posizione sola per tutto il percorso: io a guardare negli occhi lui, ed egli ad osservare il mio sguardo nel suo. Per non percorrere tutto il tragitto osservandoci in quella maniera maleducata quanto forzata, abbassai il mio sguardo quando per me lui era ancora una sagoma senza caratteristiche.
Con gli occhi bassi osservavo così le sue scarpe, ma il mio sguardo era irresistibilmente spinto ad alzarsi per osservare la persona che avevo di fronte nella sua interezza, come se a livello inconscio trovassi in lui qualcosa che catturava la mia attenzione. Partendo dalle sue scarpe cominciai così a squadrarlo e, mano a mano che alzavo il mio campo visivo, trovavo in lui qualcosa che non definirei familiare, ma piuttosto come noto. La sua pancia era grande, rotonda e rassicurante, ma quello che più mi colpì fu l’ultima cosa che osservai di lui. Il suo volto era non rotondo ma paffuto, il viso di un uomo abbastanza anziano ma non da sentire i suoi anni come un peso. Un volto bianco ma rosso sulle gote, e lucido in maniera incredibile, al punto di sembrarmi di cera, incorniciato da una folta e ben tenuta barba bianca. Un viso straordinario, sembrava proprio lui.
Il mio sguardo era ora innegabilmente puntato sul suo volto, da non sapevo più quanto tempo. Lui mi sorrise bonariamente, e mi guardò con i lucidi occhi castani. Si era accorto che lo avevo riconosciuto. A quel punto ero proprio sicuro, era lui: era Babbo Natale.

5 commenti:

Tommy ha detto...

"Autobus" sono tre racconti brevi in cui descrivo tre personaggi che realmente ho incontrato sul mezzo pubblico.
Tutto qui, questi racconti non hanno altre pretese.

Tommy ha detto...

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Anonimo ha detto...

se io stampassi i tuoi racconti e li ponessi su una scrivania della sala insegnanti di una scuola elementare di arco?. Il fine? addolcire gli animi dei docenti... mi piace condividere le cose Belle, e se tu sei daccordo vorrei regalare loro qualche tua perla.

Tommy ha detto...

Cavoli! Questa non l'avrei mai immaginata!

Comunque la mia risposta è sì!
Ho deciso di attribuire a questo blog la licenza Creative Commons proprio perché i miei racconti potessero essere utilizzati da tutti, per scopi non commerciali.

Puoi quindi stamparli e utilizzarli come vuoi, e anzi ti ringrazio perché li diffondi!

Fammi sapere se l'esperimento "addolcire gli animi dei docenti" funziona!

Ciao

Anonimo ha detto...

Ciao, perche' non ci scrivi qualcosa al gruppo yahoo "italiaindia"? Sicuramente farebbe molto piacere a tutti leggerti.
Tanya